Prima di entrare nel vivo della questione è opportuno, a mio parere, fissare l’attenzione su tre punti:
1. La prima considerazione è che l’argomento si è rivelato più complesso, a tratti molto più complesso di quanto immaginassi, poiché è emerso che realizzare modelli/spiegazioni semplici che descrivano la materia in maniera convincente è estremamente difficile.
2. La seconda questione riguarda più direttamente l’analisi dei fatti. Pur indirizzandomi su una relazione che sia il più possibile discorsiva, di tanto in tanto sarà necessario richiamare qualche concetto basilare di Fisica, per meglio comprendere i fenomeni che ci troveremo ad analizzare
3. Alcune conclusioni appariranno controverse e, soprattutto, molto differenti dalle credenze comuni. Lungi dall’essere depositaria dello stato dell’arte in questo campo, la seguente relazione può anzi diventare un ottimo motivo di confronto sull’argomento e fornire spunti interessanti.
Così come descritto nel precedente post, la caratteristica principale degli pneumatici a struttura radiale è proprio quella di modificare poco o per nulla la propria impronta a terra al variare dei carichi.
Questo ci permette una prima affermazione: data una certa misura degli pneumatici di un veicolo, il variare o meno i carichi su un asse o sull’altro, con i trasferimenti dinamici che hanno luogo in certe situazioni (accelerazioni, frenate o rilasci del gas), non contribuisce a variare la porzione di pneumatico che si trova a contatto con il terreno in maniera apprezzabile
(a patto che vengano rispettate le corrette pressioni di gonfiaggio)!!!Ciò che eventualmente rende un pneumatico più o meno reattivo è, quindi, il maggiore o minore peso che grava su di esso e la distribuzione delle pressioni (cioè dei punti in cui il pneumatico viene più o meno sollecitato).
D’altra parte, se andiamo a vedere la formula della forza aderente (Fa = coeff.ad. x Peso), ci rendiamo subito conto di questo fatto, che la variabile data dalle dimensioni del pneumatico non è neppure presa in considerazione.
Quindi, è corretto dire che l’aumento o la diminuzione del peso che grava su un pneumatico ne modifica la forza di attrito, ma ciò non avviene a causa della maggiore impronta a terra del pneumatico, che invece (con le giuste pressioni, ci tengo a sottolinearlo) rimane pressoché costante.
A questo punto, sorgono spontanee alcune domande: cos’è che spinge un costruttore ad adottare una gomma più o meno larga o a disegnare nuovi profili delle carcasse? Cos’è che fa aumentare o diminuire l’aderenza di un pneumatico? Quali condizioni contribuiscono a far variare il coefficiente d’aderenza?
Partiamo dall’ultima questione: un pneumatico a contatto con una certa superficie da luogo ad un certo valore del coefficiente di aderenza, che è la media dei coefficienti di aderenza che si palesano in varie situazioni. Diciamo subito che quando lo pneumatico ruota normalmente, dobbiamo parlare di attrito statico, poiché non vi è slittamento della gomma, mentre parliamo di attrito radente quando la gomma perde aderenza. Il coeff. di attrito statico è sempre maggiore, a parità di altri fattori, rispetto al radente.
L’aderenza di un pneumatico è poi sostanzialmente il risultato di due fattori: l’adesione e l’isteresi.
L’isteresi è praticamente la capacità del pneumatico di deformarsi e “aggrapparsi” alle rugosità del manto stradale (collegamento di tipo “meccanico”), mentre l’adesione è un processo più sottile, meno evidente, che consiste in pratica nel legare “chimicamente”, date le alte temperature che si raggiungono, la gomma al manto stradale: volgarmente, la capacità dei due materiali di “incollarsi” tra loro. L’isteresi conferisce tenuta al pneumatico in condizioni prevalenti di bassa velocità e su fondo bagnato, mentre l’adesione si avverte maggiormente ad alta velocità, ma viene praticamente meno su fondo bagnato (e da questo si deduce il perché, anche in assenza di aquaplaning, il coefficiente di aderenza sul bagnato diminuisce).
Chiaramente, anche la morfologia del fondo stradale ha la sua importanza:Detto questo, sembrerebbe che la larghezza dello pneumatico sia un dato trascurabile, ma ovviamente non è così. Semmai, nel proseguio si potrà osservare che i fattori che portano a scegliere un pneumatico più o meno largo siano diversi da quelli comunemente ritenuti opportuni.
Il primo motivo che può portare un costruttore a scegliere un pneumatico più largo è la resistenza meccanica dello stesso.
A parità di forza aderente infatti, questo parametro assume molta importanza. Vediamo in che modo: quando un pneumatico perde aderenza in modo lieve (allargamento di traiettoria o casi similari) e non rimangono tracce particolarmente evidenti di questo sulla superficie stradale, ha avuto luogo una perdita di aderenza dovuta ad insufficiente forza di attrito, a causa presumibilmente delle basse caratteristiche del fondo. Ma quando troviamo sull’asfalto i segni di una perdita di aderenza (sgommata, frenata a ruote bloccate, traverso), neri e consistenti, ci troviamo di fronte ad un cedimento meccanico, nel senso letterale del termine, dello pneumatico! Il nero che troviamo in terra è, infatti, nient’altro che la gomma che si è strappata dal battistrada! In questo caso, chiaramente, si ha giovamento dall’aumentare la quantità di gomma che si aggrappa all’asfalto, e questo si ottiene aumentando la larghezza del battistrada. Quindi possiamo affermare che effettivamente un battistrada più largo assicura una migliore tenuta di strada, ed è più adatto a veicoli sportivi, non perché aumenti il valore assoluto dell’aderenza, che tale rimane, ma proprio perché è capace di sopportare la concomitanza di alti valori di aderenza e grandi valori di accelerazione (laterale o rettilinea).
Altro fattore che può portare all’adozione di un pneumatico più largo, è la resistenza al rotolamento. Qui occorre soffermarsi un attimo per chiarire che c’è differenza tra resistenza aerodinamica e resistenza dovuta all’attrito con il terreno. Una gomma larga, avrà chiaramente una maggior resistenza aerodinamica, ma si tratta di un aumento abbastanza trascurabile se messo in confronto all’importanza della resistenza derivante dal rotolamento. E quest’ultima, invece, risulta essere determinante e determinata da vari fattori. Possiamo pensare al pneumatico come ad un contenitore a tenuta che può essere riempito con GAS ad una certa pressione: riempito di gas il pneumatico si gonfia e assume la forma determinata dall’equilibrio tra la pressione del gas e la resistenza delle pareti. La forma assunta all’equilibrio si può modificare se il pneumatico è soggetto ad altre sollecitazioni. Ricordando la relazione tra forza e pressione, l’equilibrio statico del pneumatico gonfio può essere descritto in questo modo:
1. PO = F/ΔS
considerando ogni piccola area del pneumatico
Cioè le pareti del pneumatico gonfio contrastano la pressione del gas tendendosi fino a raggiungere la forma di equilibrio. Po è la pressione a cui viene gonfiato il pneumatico, F è la forza esercitata dall’area di pneumatico di superficie ΔS: per semplicità supponiamo che questa forza non dipenda dalla posizione ma solo dall’area di pneumatico considerata(ipotesi ragionevole). Quando le gomme sono montate sul veicolo l’intero peso del mezzo più quello del pilota grava su di esse: cerchiamo di capire cosa succede. Sia M la massa del mezzo, N il numero delle ruote e supponiamo che il peso del mezzo sia distribuito in modo uniforme. Come tutti possiamo constatare, specialmente quando le gomme sono sgonfie, i pneumatici si deformano fino a raggiungere quella che possiamo chiamare una "deformazione di equilibrio". Infatti il pneumatico risponde alla sollecitazione esercitando una forza uguale e contraria al peso del mezzo attraverso la superficie di contatto con il terreno. Tale forza è dovuta alla pressione ed è legata ad essa dalla relazione 1, quindi aumenta proporzionalmente alla pressione e all’area su cui si esercita. La deformazione è tale quindi da creare uno squilibrio.
Mi fermo qui ragazzi altrimenti vi uccido.