Dal secondo link di grip è interessante riportare il commento di Claudio D'Amico, Comandante provinciale Forestale Arezzo:
(e... la risposta... di un certo UnderT75... chi sarà?)
L’ultima di cronaca aggiorna il triste elenco. Un’altra giovane vita si è persa sull’asfalto dello Spino, tradita dalla passione della moto. Gli accertamenti ricostruiranno la dinamica dell’incidente e ne spiegheranno le cause. Ma sappiamo tutti com’è andata, e che non si può invocare la “fatalità”. E’ fatalità se ti scoppia una gomma, hai un malore, ti viene addosso un altro. Ma se imposti una “piega” come se fossi in circuito e invece sei su una strada di montagna, devi mettere in conto che è come giocare alla “roulette russa” e può andare male. Morire a 33 anni per una “piega” non è accettabile, non è tollerabile.
Ma come farlo capire a questi ragazzi ? Come farli ragionare ? Stiamo constatando l’esistenza di un fenomeno, che non è più solo nei numeri dei motociclisti che si riversano nei week end sulle strade dell’Appennino. Quello che impressiona e preoccupa è accertare come tanti di questi centauri si predispongono all’uscita, cavalcando mezzi elaborati oltre gli standard delle case costruttrici. Un conto è personalizzare una moto con adesivi o colori che ti distinguono, ti fanno riconoscere o ti fanno immedesimare nel mito dello sport che vuoi emulare. Non ci sarebbe niente di male. Ma uscire dal garage di casa, quasi fosse il box di un autodromo, con scarichi, gomme, centraline elettriche, specchi modificati per accrescere l’aerodinamicità, con la targa rialzata per “fregare” l’autovelox, significa partire con la consapevolezza di trasgredire, sfidare le regole, accrescere a dismisura il rischio che già esiste in una pratica in sé pericolosa. Il Corpo Forestale dello Stato sta attuando in provincia di Arezzo e in Toscana un
programma di controllo mirato a questo fenomeno sui passi montani. Non c’è la volontà di perseguitare nessuno, ma sperare che sempre più ragazzi valutino i rischi che affrontano con troppa leggerezza.
Vogliamo solo che questi giovani la sera tornino a casa, qualcuno magari a piedi, ma che tornino dalle loro famiglie e ripensino a cosa è successo, per decidere del loro futuro. Le strade delle nostre montagne sono giustamente indicate come “santuari del motociclismo”. Vorremmo che lo fossero per la bellezza della natura che attraversano, per i paesaggi, la quiete e la salubrità dei luoghi, la scoperta delle tradizioni, dei sapori, della civiltà di quelle comunità. Se l’ambiente diviene solo un ulteriore elemento di rischio, per gli alberi, gli strapiombi, gli animali selvatici che attraversano all’improvviso, è evidente che qualcosa non torna. Alcuni di questi “santuari”, in altre parti d’Italia, sono stati adattati per migliorare le condizioni di sicurezza per i motociclisti. Alcuni interventi, come la sostituzione dei guard rail, sono molto costosi e in tempi di crisi c’è poco da sperare. Esistono però anche soluzioni di buon senso e poco costo, come ad esempio l’adattamento dei limiti di velocità, l’inserimento di segnaletica deterrente, l’intensificazion e dei controlli. C’è bisogno di una riflessione generale, per scongiurare il ripetersi di altre “morti annunciate”.